Recensione “Yolo” di Clarissa Tornese

Trama “Yolo” di Clarissa Tornese

«Sono stanca di essere sempre la sfigata della situazione! Quella che si fa male, quella che prende le inculate, quella che se c’è una fila viene superata, quella a cui danno il resto sbagliato e a cui fregano il parcheggio sotto il naso. Quella che, anche quando non c’è, è colpa sua se le cose vanno male. Sono da sempre la tipa che le prende, e forte anche! Sono, sono… ecco! Sono come gatto Silvestro, o Willy il Coyote, o come quello stupido di Paperino! Io nella vita per una volta, una volta soltanto, vorrei essere quel cazzo di Titti!»Yolo, you only live once; si vive una sola volta. Tra sbronze, incidenti stradali, arresti, serate ambigue e loschi maneggi con soggetti poco raccomandabili, Vicky movimenterà la sua vita fino al punto di capirne (o quanto meno ipotizzarne…) il vero valore.

 

Recensione “Yolo” di Clarissa Tornese [a cura di Elisa Pinca]

“Vi siete mai chiesti cosa voglia dire avere trent’anni e non sapere cosa si vuole precisamente?”
Una condizione nefasta di ansia perenne sul da farsi unita alla paura di vivere una vita infelice e ad un rapporto complicato con i genitori.“

“Non sa come andranno le cose, e forse è ancora alla ricerca del suo posto nel mondo. Ciò che però conta di più è che, ogni tanto, quando si sveglia la mattina […] ha l’impressione di essere esattamente nel posto giusto.”

L’incipit e la conclusione. Cosa sta nel mezzo? Il dramma prima, la tranquillità raggiunta dopo. Come? YOLO

Vicky, trent’anni. Quasi inaspettatamente single dopo otto anni di convivenza. Improvvisamente, o quasi, disoccupata dopo anni di lavoro nello studio legale di famiglia. Un periodo di inesistente equilibrio psico-fisico, un ammasso di ore tormentate dal niente.  Non riuscire più a sentirsi felice, continuare a rimandare, sentire il bisogno di staccare, completamente, senza capire bene da cosa. Voler solo chiudere gli occhi e non pensare.

Vuoto, smarrimento, solitudine, disperazione o sconforto… voi cosa provereste? C’è chi sceglierebbe tutte queste risposte e chi ribatterebbe prendendo tutto ciò come una sfida personale per ricominciare e migliorarsi. Io non sono tra questi ultimi, ma la protagonista non lo è.

Vicky però quelle perdite, in fondo in fondo se le aspettava.
“Maria Vittoria Monterubbianese, nata a Roma in una fredda notte di gennaio dell’anno 1987” si ritrova a fare i conti con una vita spesa a soddisfare le aspettative dei genitori, incapace di ribellarsi alle loro imposizioni borghesi. Voleva salvare le balene, si è ritrovata iscritta alla scuola di legge, ad esempio.
L’accettazione però non è per sempre.
Se non si è in grado di riconoscere di avere un problema cosa succede? Succede che i bar diventano il tuo nuovo rifugio, l’unico posto in cui ci si sente liberi dal dover apparire in un certo modo, esentatati da certe responsabilità imposte. La birra non giudica, non detta ordini. L’alcool mette i pensieri in pausa.
Questa era la via di fuga di Vicky, questo è stato l’inizio della fine o la fine dell’inizio.
Dopo troppe rincasate sbronza ed altrettanti inadempimenti sul mondo del lavoro, Vicky si è ritrovata sola e alcolizzata.
Vicky aveva un problema, ma per riuscire ad ammetterlo (e ad iniziare a percepire il valore della propria vita) le è servito un intero romanzo.
Prima di riuscire ad esserne consapevole ha dovuto conoscere Maurizio, litigare e mentire ai genitori ed alla migliore amica (figure in realtà a cui sapeva di essere legata e a cui, nonostante tutto, rimarrà legata e debitrice). Soprattutto, ha incontrato Eleonora che in modo molto seduttivo, ed altro non vi svelo, ha permesso a Vicky di uscire di casa, mettersi in gioco, divenire consapevole di sé stessa. Attenzione però che con il fuoco non si scherza, ed anche questo Vicky lo ha imparato grazie ad Eleonora.

YOLO non è uno scherzo, ma è tutto. Ne volete sapere di più? Buona lettura!

Per riassumere, il romanzo punta i riflettori sulla tipica ragazza borghese abituata ad avere tutto, abituata a non dover far fatica, ad accettare.
La trama svela come non è tutto oro quello che luccica, che gli agi non creano la felicità; ci trasmette che lamentarsi non basta, che fuggire non risolve nulla.
Prima o poi dobbiamo prendere decisioni, assumerci responsabilità, ma soprattutto imparare ad ascoltare e convivere con noi stessi. Una morale trasmessa tramite mille peripezie.

Un romanzo quindi che fa riflettere senza, minimamente, annoiare.

Consigliato a tutti quelli che vogliono solo svagarsi o lasciarsi trasportare e a tutti quel che almeno una volta si sono sentiti così:

«Sono stanca di essere sempre la sfigata della situazione! Quella che si fa male, quella che prende le inculate, quella che se c’è una fila viene superata, quella a cui danno il resto sbagliato e a cui fregano il parcheggio sotto il naso. Quella che, anche quando non c’è, è colpa sua se le cose vanno male. Sono da sempre la tipa che le prende, e forte anche! Sono, sono… ecco! Sono come gatto Silvestro, o Willy il Coyote, o come quello stupido di Paperino! Io nella vita per una volta, una volta soltanto, vorrei essere quel cazzo di Titti!»

 

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